La Confraternita del Gusto Antico: la tavola tra storia, cultura e simposio


Che fine abbia fatto quel modello di convivialità, fulcro familiare e paradigma di un'Italia felice almeno a tavola, Roberto Borboni se lo è chiesto tante volte. Proprio lui, che con il suo lavoro da agente di commercio e tanta strada da percorrere in solitudine, avrebbe potuto scrivere “l'apologia del mangiar solo” o qualcosa di simile. Ed invece no. Che lo abbia ispirato Plutarco, scrittore e filosofo greco del I sec. d.C., con l'aforisma “gli uomini non si mettono a tavola per mangiare, ma per mangiare insieme”, un precetto che riassume bene la filosofia di questo quarantanovenne ferrarese che è riuscito a trasformare ogni suo viaggio in un momento di simposio, di convivialità, di scambio.

Roberto Barboni è uno dei palati più raffinati ed una delle persone più preparate in materia enologica che io abbia mai incontrato, fondatore della “Confraternita del Gusto Antico”. Io e Roberto ci siamo conosciuti per caso circa 4 anni fa durante un pranzo di lavoro, presso il ristorante Valsellustra di Casalfiumanese. Roberto pranzava in solitudine ma spesso scambiava opinioni con altri ospiti del locale, si fermava con il proprietario del ristorante per disquisire di cibo e di vino. Rimasi affascinato dalle sfumature che riusciva a percepire e ad esprimere durante la sua degustazione ed ancor più rimasi sorpreso di come Gianluca Barzagli, il proprietario, lo assecondasse stappando nuovi vini scoperti durante i suoi viaggi. Roberto si accorse dell'attenzione che gli stavo dedicando e ci ritrovammo, nel giro di pochi minuti, a chiacchierare insieme come due vecchi amici. Roberto si rivelò subito una persona gradevolissima ed al tempo stesso “scomoda” perché, senza la minima presunzione, riuscì a farmi sentire il vuoto che c'era tra il mio “credere di sapere” ed il mio “sapere vero”. Un'enciclopedia vivente, una persona capace di tenere a mente un numero incredibile di dati e di rimandare a ricordi e percezioni tali da sorprendere anche il più esperto gastronomo.


La Confraternita del Gusto Antico: l'approccio armonioso, lucido e ludico verso il buon bere e il buon mangiare

Un ferrarese adottato dalla “grassa dotta e rossa” Bologna, animato da un sano fanatismo nei confronti delle eccellenze enogastronomiche di tutto il mondo, non poteva non essere implicato nella costituzione di una congregazione di persone unite dallo stesso credo ideologico, la “Confraternita del Gusto Antico”. Un’associazione enogastronomica formata da 6 cavalieri, nata per unire e scambiare competenze più o meno tecniche sul cibo e sul vino. Niente di così accademico come potrebbe sembrare, però. Semplicemente un gruppo di amici legati dalla passione profonda per il vino e per il cibo che, a turno, organizzano incontri durante i quali degustano e raccontano il cibo che hanno portato a tavola. Il “cavaliere” di turno deve riunire a tavola tutti gli altri, studiare un menu completo abbinandolo ai vini. Deve fare tutto con il solo aiuto della sua passione, della sua curiosità, delle conoscenze che ha, ma soprattutto deve metterci il cuore, perché, come dice lo stesso Roberto, “se c’è un errore che può davvero fare di una cena una pessima cena, quell’errore è non averci messo il cuore”.

Roberto la passione per il mangiare e per il bere non l’ha imparata in casa, l’ha imparata per curiosità. Si è educato leggendo, ricostruendo la storia delle tradizioni culinarie, cucinando ed assaggiando, un po' alla volta, stappando bottiglie, ed è proprio lui che mi racconta nei mini particolari come è nata la sua passione e soprattutto come è nata la Confraternita del Gusto Antico: «La molla scattò quando bevvi una Ribolla Gialla di Cormons dopo aver bevuto vini mediocri e solo di moda» - ci racconta Roberto - «ora quel vino per assurdo non mi piace più, ma fu uno dei tanti episodi che mi fecero, all'improvviso, decidere di studiare, approfondire, gustare sempre cose migliori».

Un palato felice ed una certa predisposizione alla ricerca e alla scoperta. Uno alla volta i suoi cavalieri hanno preso posto a tavola portando con sé competenze specifiche ed entusiasmo. Niente di così accademico come sembra, appunto. «C’è Vittorio, l’ingegnere, uomo mite e di grandi valori, freddo ed impassibile nel lavoro, ti stupisce quando esce dalla cucina con in mano un torchio antico per farci i bigoli come venivano preparati una volta in Veneto; c’è Carlo detto il dottore perché dotto, il nostro storico, con una sensibilità che faccio fatica a descrivere; c'è Fabio, il nostro businessman che gira il mondo, vive esperienze incredibili che generosamente sceglie di condividere con noi, e poi c'è Nino, bolognese d’adozione ma siciliano per origini e disposizione d’animo, l’unico capace di comprare due tre cose alla svelta e in un’ora cucinare una cena che passi tutto il tempo a dire “da nessuna parte nel mondo avremmo mangiato qualcosa di così delizioso e sentito”. Instancabile nella ricerca e sempre disponibile per l’organizzazione logistica delle nostre serate, la sua casa è sempre aperta. Il fratello maggiore, invece, si chiama Vainer, un’energia ed una voglia da fare invidia, un lavoro importante nel passato che gli ha fatto fare il giro del mondo... è lui il nostro cacciatore di tartufi, grande conoscitore di funghi e di vino, vive in un podere con i suoi cavalli e quando siamo a cena da lui non vorremmo mai venir via». Quello della confraternita è un approccio armonioso al cibo, lucido e ludico al tempo stesso; la cura di conservare e l’istinto a sperimentare, recuperare ciò di cui la modernità rischia di far perder memoria e la ricerca di un gusto che ancora non c’è. Il codice d’onore di questi cavalieri è il buono, il bello e il vero, tutto il meglio del patrimonio enogastronomico nazionale; la selezione del prodotto, la sua giusta presentazione, il suo racconto e l’amicizia. Perché il piacere di un banchetto si misura soprattutto dalla compagnia.

Che fine abbia fatto quel modello di convivialità fulcro familiare di un Italia che non c’è più è una domanda che ha ancora più senso oggi porsi. Mangiamo sempre più spesso da soli ed in fretta senza la possibilità di comunicare con qualcuno. Fosse anche il cibo più buono al mondo, quel cibo non ci consentirebbe di alzarci da tavola arricchiti dello scambio, della condivisione, del valore dell’ospitalità. Mangiare è un’esigenza primaria ma la risposta a quel bisogno ha una funzione sociale, è un’occasione di socializzazione, un’opportunità di saldare e rafforzare legami. Il cibo è un codice di comunicazione, una forma di integrazione attraverso la quale esprimiamo l’appartenenza ad un gruppo, ad una cultura, uno strumento per veicolare messaggi che riguardano le nostre emozioni perché Il cibo è anche nutrimento affettivo. Il cibo invia segnali ed ha effetti sul nostro corpo come fosse un libro, una fotografia o un film. Il cibo e le pratiche alimentari non hanno mai avuto una valenza neutra perché si sono sempre caricate di una simbologia rituale e sociale che risalgono alla notte dei tempi.

 


Ma la Confraternita del Gusto Antico non è certo l’ennesimo tentativo di intellettualizzazione del cibo come se la narrazione fosse più importante del cibo stesso. Piuttosto, il loro mangiare insieme, è un mangiare per far conoscenza del mondo, accoglierlo in bocca, tenerlo sotto ai denti per averne soddisfazione e piacere reciproci.  


Articolo scritto in data 14/07/2016

La Confraternita del Gusto Antico: la tavola tra storia, cultura e simposio
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