Intervista a Teodosio e Teresa Buongiorno
Ho avuto il piacere di conoscere Teodosio Buongiorno nel corso di una importante manifestazione enologica, durante la quale avevo potuto apprezzarne le grandi competenze di sommelier e, soprattutto, la sua grande signorilità. Chi non avevo ancora conosciuto era sua moglie Teresa, anima gastronomica del ristorante “Già sotto l’arco” di Carovigno, imperdibile luogo del “buon mangiare”, ma anche del “buon bere” nell’alto Salento.
Teresa è cuoca raffinata e di sostanza, capace di abbinamenti tanto semplici quanto fantasiosi, mai banali. I suoi piatti sono il risultato di un percorso che è iniziato con la semplice cucina di tradizione per approdare, supportata da un’innata passione e dalla tecnica che è andata sviluppandosi negli anni, ad un interpretazione del proprio lavoro più elaborata e ricercata, fatta di grandi prodotti in gran parte del territorio.
Sono atteso, previo appuntamento, dall’amico Teodosio; appena giunto nel ristorante non posso che apprezzare la raffinata location, situata in un bel palazzotto d’epoca, ma, soprattutto, la piacevole atmosfera familiare nella quale vengo accolto. Teresa arriverà poco dopo e aiuterà Teodosio nel divertente racconto della loro vita ristorativa e non.
Si tratta, infatti, di un percorso veramente particolare, nel quale non si parte, come spesso accade, dalla frequentazione di una scuola alberghiera, ma da una vecchia tradizione familiare, da una trattoria vera nata nei tempi in cui la ristorazione di qualità praticamente non esisteva e, soprattutto in una terra come la Puglia, a quei tempi, la faceva da padrone la cucina di casa, quella della più stretta e rigorosa tradizione.
Essere stati tra i precursori di un particolare modo di vedere la cucina, intesa come sviluppo creativo di una tradizione locale, è sicuramente un merito che va riconosciuto a Teresa e Teodosio, importanti quanto semplici personaggi della gastronomia pugliese e nazionale; non per nulla, infatti, a “Già sotto l’arco”, brilla già da molti anni una meritatissima “etoile” Michelin.
Prima
di cena, mi raccontano, appunto, la loro storia.
Sandro: Come nasce il ristorante Già sotto l’arco?
Teodosio: Era l’osteria dei miei nonni. Poi, nel 1971 mio nonno morì e gli subentrarono i miei genitori, che si trasformarono, dall’oggi al domani, da contadini a ristoratori. Io avevo 10 anni e da subito mi misi sotto a lavorare. Iniziammo come una vera e propria osteria, anche perché all’epoca i ristoranti stavano in città. Poi la svolta: a fine anni ’70, da Ostuni passò una tappa del Giro d’Italia, che contribuì a lanciarla come meta turistica, denominandola la Città bianca. Ma siccome Ostuni non offriva quasi nulla come ristorazione, la gente che la frequentava, turisti, giovani yuppie, gente molto aperta in genere, scoprirono la nostra osteria. Abituati, come eravamo, ad avere a che fare con i contadini che si portavano il pane da casa e le fave nelle tasche, in noi cominciò ad innescarsi il tarlo del cambiamento. Così c’è stato il primo passaggio da osteria di paese a osteria di grandissimo successo. Avevamo settanta posti e facevamo tre turni, la gente aspettava anche un’ora e mezza, persino sotto la pioggia, per mangiare da noi.
Sandro:
E poi cosa è successo?
Teodosio: Con il passare degli anni, a Carovigno cominciarono ad aprire altri locali, mentre io e Teresa, nell’81, ci siamo fidanzati e dopo cinque anni abbiamo deciso di sposarci con una promessa solenne: non avremmo fatto i ristoratori. Così aprimmo un negozio di scarpe eleganti che, però, stentava a decollare, tanto che eravamo costretti, per tirare avanti, ad andare a lavorare all’osteria. L’unico momento in cui riuscivamo a vendere le scarpe era proprio quando chiudevamo l’osteria e gli amici che erano venuti a cena ci chiedevano, a mezzanotte, di aprire il negozio.
Sandro:
Ma riuscivate ad avere almeno un po’ di tempo per voi?
Teodosio: Scherzi? Lavoravamo sempre tutti i giorni da mattina a notte, e nei giorni in cui il negozio era chiuso era aperto il ristorante e viceversa. Nel frattempo erano anche nati i nostri due figli, Antonella e Luigi, allora io e Teresa ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso di cambiare gli accordi prematrimoniali, anche perché si era creata la necessità di trasferire l’osteria in altri locali e mio padre ci disse che lo avrebbe fatto solo se noi avessimo continuato.
Sandro:
Così decidete di continuare a fare i ristoratori.
Teodosio: Sì, ma non riuscivamo a trovare il locale giusto. Poi capitò che questo antico palazzo, prima casa patrizia con annessa chiesetta, poi locanda, fu messo in vendita. Era in condizioni veramente disastrose, ma decidemmo di comprarlo e, avvalendoci di un architetto che seppe interpretare i nostri gusti, di un ottimo ingegnere e di maestranze di altissimo livello, lo rimettemmo a posto. Ora sono venti anni che siamo qui. Abbiamo aperto nel ’92, c’era ancora tutta la mia famiglia, mia madre cucinava e Teresa aveva iniziato a dare una mano.
Sandro:
Ma il passaggio da osteria a ristorante di livello, com’ è
avvenuto?
Teodosio: Questo tipo di locale non ci piaceva più, non ci sembrava più un’osteria vera come prima e, proprio dalla nostra voglia di cambiamento, nacquero alcuni contrasti in famiglia sul tipo di gestione. Teresa sentiva l’esigenza di una cucina più sua, mentre mia madre era tradizionalista. Così, in un passaggio difficile ma quasi obbligato, mio padre decise di lasciarci la gestione del ristorante, preavvisandoci che sarebbe andato via a partire dal settembre successivo, dopo il lavoro della stagione estiva. Infatti, a settembre ’97, io e Teresa ci ritrovammo improvvisamente soli e incominciamo a proporre piatti un po’ diversi, ma per i nostri clienti era un grande stravolgimento, tanto che continuavano a scegliere, dal menù, gli antipasti misti e la grigliata di carne. Allora che facciamo? Togliamo la grigliata mista e perdiamo il 70% dei clienti, mentre il 30% continuava a venire perché ero simpatico, anzi bello (ride).
Sandro:
Bé, un bel risultato!
Teodosio: Non contenti, siccome nel frattempo ero anche diventato sommelier, decidiamo di eliminare il vino sfuso e serviamo solo quello in bottiglia. Così perdiamo un altro 20% di quel 30% residuo. Ci rimane il 10% ma togliamo anche gli antipasti misti e dopo questa manovra ci rimane non più dell’1/2%. Dopo questa bella – diciamo così – scrematura, nel ristorante entrava un cliente ogni due mesi, ma, siccome aveva il cane, decidiamo di mettere il cartello con la scritta “Io non posso entrare”. Finalmente io e Teresa siamo veramente soli! (A questo punto ridiamo tutti di gusto).
Sandro:
Va bene, allora siete proprio matti!
Teodosio: Assolutamente no. Anche se è difficile crederlo, avevamo ben presente ciò che volevamo fare, sembra assurdo ma ci sentivamo sicuri delle nostre capacità.
Sandro:
A questo punto cosa avete fatto?
Teresa: Abbiamo cominciato ad andare in giro a vedere cosa facevano gli altri, ricordo ancora una bellissima esperienza al Don Alfonso, all’epoca tre stelle, e ci siamo resi conto che potevamo farcela, anche se il nostro ristorante continuava ad essere vuoto.
Sandro:
Non perdevate mai fiducia in voi stessi?
Teodosio: Oggi mi rendo conto che avevamo tanta incoscienza, comunque a poco a poco abbiamo cominciato a vedere che qualcuno veniva e, dopo un po’, tornava. Ma mancava ancora qualcosa, era difficile spiccare il volo, ci voleva notorietà. Un giorno arrivò una sorpresa inaspettata, venne a mangiare da noi Edoardo Raspelli, che ci fece una bellissima recensione su La Stampa. Le cose stavano cambiando e, dopo un po’, arrivò anche il telegramma in francese con cui ci comunicavano l’assegnazione della stella.
Sandro:
Teresa, come definiresti la tua cucina?
Teresa: Concreta, con ispirazione al territorio.
Sandro:
Nella cantina quante etichette avete?
Teodosio: Circa 500, con grande attenzione alla nostra Puglia.
Sandro:
Quanto credete sia stato importante incontrare Raspelli?
Teodosio: Difficile dirlo, ma da quel giorno come ti dicevo, qualcosa è cambiato e hanno incominciato a conoscerci come ristorante di livello. Lui è tornato lo scorso anno e ci ha fatto molto piacere che si sia ricordato di noi; gli abbiamo anche fatto rivedere il suo articolo che, comunque, ha segnato un’importante tappa nel nostro lavoro e nella nostra vita.
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