Ristorante El Coq Vicenza


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INTERVISTA A LORENZO COGO


Lorenzo Cogo, nato a Thiene (VI), classe ‘86, è sicuramente uno tra i giovani più interessanti del panorama ristorativo nazionale. Gestisce con successo il ristorante El Coq a Marano Vicentino, ma, nonostante la giovanissima età, vanta importanti collaborazioni in famosi ristoranti all’estero. Dopo la scuola alberghiera e le prime esperienze nella sua zona, ha lavorato a Milano per lo stilista Aldo Coppola, per poi approdare a “La locanda di Piero” di Montecchio Precalcino e successivamente a Melbourne da Shannon Bennet.

Si sposta, poi, a Sidney, dove svolge significative esperienze presso il "Tetsuya's e Quay" e il "Marque Restaurant" di Mark Best. Dopo l’esperienza australiana trascorre un periodo in Inghilterra al "The Fat Duck"di Heston Blumenthal e poi va in Giappone dove ha l’opportunità di approfondire la conoscenza della materie prima e delle tecniche dal grande Seji Yamamoto.

Dal Giappone rientra in Europa, dove lavora come sous chef presso l’"Etxebarrì" di Victor Arguinzoniz Successivamente torna in Giappone, va a Singapore e poi nuovamente in Spagna ma, prima di fermarsi definitivamente in Italia, tanto per non farsi mancare nulla, si concede un’esperienza lavorativa al prestigioso Noma di Copenaghen.

 

A questo punto è facile pensare che Lorenzo abbia almeno 50 anni, invece Lorenzo ne ha solo 27 e, da circa due anni, ha aperto il suo El Coq, con la precisa intenzione di riversare la sua esperienza e le sue idee in un concetto di cucina che lui ama definire istintiva. Quando ci incontriamo per questa intervista, Lorenzo non ha ancora ricevuto la sua prima stella Michelin.

 

Tornato a casa, nella mia Bari, il tempo di riordinare gli appunti e la registrazione ed ecco che la Michelin annuncia le nuove stelle 2013. Lorenzo Cogo è tra queste; chissà, mi piace pensare che gli abbiamo portato fortuna. Sicuramente questo ragazzo farà parlare ancora molto di sé; di esperienze ne ha fatte, il talento non gli manca, le idee chiare neppure. Il locale è sobrio, semplice, lo staff è formato tutto da giovani, insomma gli ingredienti ci sono tutti.

 

Ci accomodiamo sulle sedie vintage, appoggio il mio taccuino sui bei tavoli in larice e mi faccio raccontare un po’ di cosette.

 

Lorenzo, pensando a quante esperienze hai già fatto, mi chiedo da quanto tempo ti occupi di cucina.

Sono cresciuto respirando quest’aria. Bazzicavo la trattoria di mio padre da quando avevo 6 anni e lì mi sono appassionato alla cucina, a muovermi al suo interno, imparando a conoscere gli ingredienti, a tagliare la cipolla…

 

E’ andata bene, avresti potuto avere la reazione opposta.

Forse, ma non ho avuto un rigetto, anzi. Sin da ragazzino avevo il desiderio di mangiare cose particolari così a 14 anni mio padre mi portò in un ristorante stellato e lì cominciai a capire quale sarebbe stato il mio percorso, quale cucina mi piaceva e cosa avrei voluto fare. In quell'occasione scoprii un mondo completamente diverso da quello in cui sono cresciuto, quindi una cucina che fa ricerca, molto attenta alla materia prima, molto attenta alla presentazione e a determinate cose che, di solito, una trattoria non segue.

 

Quella di famiglia era una trattoria tradizionale con cucina tipica?

Esatto. Pasticcio, bigoli con l’anatra, cose semplici che però mi sono servite come base di conoscenza della cucina e del territorio. Perché nel nostro mondo trovi colleghi che lavorano nei migliori ristoranti del Mondo e che sanno fare benissimo una spuma o usare un addensante, ma non sanno preparare un ragù o cuocere correttamente una carne alla brace.

 

Infatti siamo arrivati un po’ anche a questi eccessi.

In Italia è ancora forte la tradizione ma in America, ad esempio, non hanno grosse basi e io trovo abbastanza scandaloso pensare ad uno chef che fa cucina di ricerca senza avere queste basi.

 

Parliamo di ingredienti. Preferisci burro o olio extravergine?

Entrambi. Amo il burro di capra, ma uso anche buon burro di malga e ottimo extravergine.

 

Ti piace la cucina tradizionale? La mangi?

Scherzi? Vado spesso dai miei nonni e mio padre ha ancora la trattoria. Io sono convinto che le trattorie abbiano il compito di utilizzare i prodotti poveri del territorio e invece spesso questo non avviene. Fanno la corsa al prezzo più basso, utilizzando troppo spesso ingredienti osceni, per dare più scelte possibili, mentre sarebbe più logico che si concentrassero su 4/5 piatti di qualità. Inevitabilmente la qualità media scende, mentre all’estero ci sono trattorie che fanno poche cose, semplici ma ben fatte, con materia prima povera ma eccellente e prezzi bassi.

 

Quindi ritieni che la cucina di tradizione abbia i suoi canoni e non debba essere toccata?

Credo sia già perfetta così com’è, sono 400/500 anni che quei piatti si fanno, si è trovato l’equilibrio. Quando vado da mio padre e cerco il baccalà alla vicentina, lo voglio nella maniera classica, se voglio un bollito misto, è uguale. E’ importante che ci sia qualcuno che conservi la nostra tradizione. Chi come me, invece, fa ricerca, deve usare i prodotti del territorio ed imparare a trasformarli e proporli in una maniera completamente diversa; non mi piace quando si prende una ricetta tradizionale e la si va a rivisitare. Per me è sempre perdente rispetto alla ricetta originale.

 

Si può dire che la tua cucina di ricerca affonda le radici in questo territorio?

Mi piace molto che l’idea della mia cucina nasca in questo territorio. Mi intriga scoprire le materie prime che nessuno utilizza.

 

Secondo te, quindi, è nell’alta ristorazione che c’è più attenzione al territorio?

Assolutamente sì.

 

Ma il territorio non deve essere un limite, però.

Infatti, però è importante. Pensa che qui in collina è pieno di carote selvatiche, ci sono passato sopra mille volte e non sapevo ci fossero. Qualche giorno fa abbiamo raccolto 30 chili di rose canine e anche quelle prima non le conoscevo. Insomma se si aprono gli occhi e si sta attenti a cosa ci succede intorno, alla natura, c’è tanto da scoprire. Anche questa conoscenza del territorio è ricerca e io mi impegno nell’approfondire sempre più questi aspetti. La pioggia, ad esempio, è un’esplosione di erbe. Già stamattina ho visto due tre cose che sono cresciute e mi sono detto che domani mattina alle 7 andrò a raccoglierle.

 

Quindi ti piace utilizzare i tesori che la natura ci dona?

Assolutamente sì. Ieri sono andato a funghi e a castagne.

 

Quali obiettivi hai in questo momento nel tuo lavoro? Ti stai concentrando su qualcosa in particolare?

Adesso si mi sto muovendo in tante direzioni, sinceramente ti dico che ho l’obiettivo di riuscire ad imprimere una mia identità, una mia mano sui piatti che venga riconosciuta e identificata. La mia cucina si sta delineando sempre più come qualcosa di molto personale, una ricerca di sapori e di contrasti, sto cercando di diventare un po’ più spigoloso, un po’ meno morbido sugli equilibri per lasciare più il segno. Non dico di voler sconvolgere, ma voglio aggredire un po’ il palato.

 

E’ questo che intendi per spigoloso?

Sì, non essere troppo equilibrato nei piatti.

 

Quindi proprio una ricerca per squilibrare i piatti. Un concetto difficile che, di primo acchito, sembrerebbe negativo. Cosa vuoi ottenere?

Ottenere un risultato finale che parta da uno squilibrio iniziale, ma che sia d’impatto. Uno squilibrio/equilibrio da ottenere attraverso dei picchi che attivino i sensi, che attirino l’attenzione dandoti una sveglia.

 

Ma rischiando di sconfinare nel difetto.

L’impatto iniziale deve essere forte, per poi scemare. Si può ottenere in tanti modi, anche attraverso una temperatura particolare, un’affumicatura che non ti aspetti…, cose che aiutino il cliente ad esser più reattivo e attento, in modo da non annoiarlo. Per me una cena deve esser divertente, deve emozionare.

 

Un concetto non facile.

Forse, ma non m’importa. E’ ciò che voglio.

Menu Giovane Gourmet


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Siamo spiacenti, menu non disponibile! Il menu per questo ristorante non è ancora disponibile. Ritorna a farci visita nei prossimi giorni.


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